Codice della Crisi di Impresa: dalla Legge fallimentare del 1942 al nuovo Codice del 2019

Un po' di storia

Codice della crisi di impresa

 

 

La Difficile Gestazione

Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, in attuazione della L. 19 maggio 2017, n. 155, ha subito un percorso piuttosto travagliato prima di entrare completamente in vigore.

Volendo ripercorrere a grandi linee i passaggi fondamentali, si deve fare anzitutto riferimento alla direttiva europea c.d. Insolvency (Dir. 2019/1013/UE), che ha il principale fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno e il pieno esercizio della libertà di circolazione dei capitali e della libertà di stabilimento, attraverso l’armonizzazione delle normative nazionali in materia di ristrutturazione preventiva e di gestione della crisi e dell’insolvenza.

Il legislatore europeo, con la Dir. Insolvency, ha individuato procedure e strumenti, sia di natura giudiziale che extragiudiziale, che consentano al debitore, nel caso in cui la situazione di criticità sia rilevata tempestivamente, di realizzare il risanamento economico ed una efficace ristrutturazione, evitando, così, che imprese in difficoltà finanziarie temporanee ma sostanzialmente sane rischino un default, con conseguente pregiudizio per fornitori, dipendenti e, in generale, per il mercato finanziario.
Parallelamente, la stessa Direttiva Insolvency impone anche l’affinamento degli strumenti diretti alla gestione delle imprese ormai in una condizione di insolvenza irreversibile, nell’ottica di velocizzare le fasi di liquidazione e di garantire maggiore tutela ai creditori e alle altre parti interessate.

Il D.l.gs. 14/2019, come si diceva poc’anzi, sarebbe dovuto entrare in vigore 18 mesi dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 14 febbraio 2019, e, quindi, il 15 agosto 2020, tuttavia, in piena emergenza pandemica da Covid-19, il legislatore italiano, con il c.d. Decreto Liquidità (D.L. 23/2020) ha preferito posticipare detta entrata in vigore, adottando piuttosto alcuni correttivi mirati a garantire alle imprese, entrate in crisi in conseguenza delle forzate chiusure e del generalizzato blocco dell’economia, di continuare ad operare nella prospettiva di un naturale risanamento conseguente al superamento dello stato di emergenza, adottando, tra l’altro, anche ulteriori interventi, finalizzati ad aiutare imprenditori e famiglie in difficoltà economica indotta dalla pandemia.

Ancora nel 2021 il legislatore è tornato a modificare il testo del 2019, introducendo l’istituto della composizione negoziata della crisi (D.L. 24 agosto, n. 118, convertito L. 21 ottobre 2021, n. 147), mentre nel 2022, con un primo intervento (D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito dalla L. 29 giugno, n.79) ha posticipato ulteriormente l’entrata in vigore del corpus normativo dal 16 maggio 2022 al successivo 15 luglio, e, con il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 81, ha apportato ulteriori, importanti modifiche, introducendo nuovi strumenti o perfezionando procedure già regolamentate.

Il risultato, è un prodotto “frutto di un lavoro sedimentato nel tempo e svolto da diverse mani” (Renato Rordorf, presidente dell’omonima Commissione, che ha prodotto l’originario testo del 2019), non sempre di facile lettura, in conseguenza all’assai frequente ricorso al sistema dei rinvii e alla tendenza a una normazione molto dettagliata, intenzionata a regolamentare anche gli aspetti più minuti (col rischio, però, sempre presente, di lasciarne fuori qualcuno), il cui concreto funzionamento sarà, di fatto, rimesso in buona parte anche all’interpretazione giurisprudenziale.

Codice della crisi di impresaIl perché della Riforma

Secondo la nozione di CRISI dettata dalla nuova normativa verte in stato di crisi colui (imprenditore o consumatore) i cui flussi di cassa prospettici non sono in grado di far fronte alle obbligazioni contratte nell’arco temporale di riferimento di un anno.

Per la prima volta anche al soggetto non imprenditore (non solo il consumatore privato cittadino, ma anche una serie di altri soggetti come gli enti del terzo settore, fondazioni, associazioni, ecc.) si applica la normativa concorsuale, anche se limitatamente all’istituto del sovraindebitamento, essendo gli altri strumenti pur sempre riservati all’imprenditore.

Il legislatore della riforma pone grande fiducia nell’imprenditore e nelle sue capacità di gestire e superare le situazioni di crisi. Questa fiducia, tuttavia, è fondata sulla preventiva distinzione ed identificazione di due tipologie di imprenditore:

  • l’imprenditore virtuoso, che ha adottato tutti gli accorgimenti e gli strumenti disponibili per prevenire le situazioni patologiche conducibili allo stato di crisi, e
  • l’imprenditore negligente, che sfugge alla pianificazione e alla prevenzione, preferendo una gestione empirica ed informale.

La distinzione e la evidente preferenza per il primo tipo di imprenditore non pretestuosa né è frutto di mero capriccio, ma è, piuttosto, fondata su evidenze elaborate dalla dottrina aziendalista e confermate dalla pratica.

Ma l’assunto di partenza è ancora un altro: la consapevolezza che gli attuali fenomeni della crisi e dell’insolvenza sono ben distinti da quelli che avevano portato alla elaborazione della previgente normativa, risalente al 1942 e a sua volta fondata su teorie ottocentesche e di inizio secolo scorso.

Gli attuali fattori di rischio sono non soltanto numericamente maggiori, ma anche più articolati e diversificati. Si pensi, ad esempio, all’impatto che possono avere a livello aziendale fattori quali, la crescente digitalizzazione pubblica e privata, la globalizzazione, la transizione ecologica, la maggiore complessità dell’organizzazione aziendale, la drastica riduzione dei cicli produttivi.

Riconoscendo oggi un ruolo-chiave alla prevenzioni e alla tempestività nella prima rilevazione della prima comparsa dei segnali di crisi, il legislatore della riforma inverte l’approccio al fenomeno della crisi e dell’insolvenza e, dalla “evidenza e ineluttabilità dell’insolvenza manifesta” della nozione elaborata nel secolo scorso, attribuisce rilevanza alla “probabilità di funtura insiolvenza”. 

A questa inversione si collega la diversa reazione alla avvenuta rilevazione dello stato di crisi: l’imprenditore virtuoso che si è reso conto per tempo della criticità non deve arrendersi ma attivarsi per risolvere, se possibile, con le proprie forze la situazione e tornare a gestire la sua azienda fuori da ogni pericolo: allo scopo, dispone che, ove possibile, la gestione non gli venga né sottratta né ostacolata, almeno finché non divenga obiettivamente manifesta la propagazione della criticità con conseguente aggravamento dello stato verso l’insolvenza.

Codice della crisi d’impresa

I concetti di crisi e insolvenza

Il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza recepisce le indicazioni della Direttiva c.d. Insolvency sulla distinzione tra crisi e insolvenza.

All’art. 2 del Codice della crisi, rubricato, appunto, “Definizioni”, si legge:

Crisi: viene definito “crisi” lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi,

Insolvenza: si definisce “insolvenza” lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

 

Elementi-chiave sono il tempo e la capacità del sistema di rilevare lo stato di crisi fin dai primi segnali di criticità: se, non appena sono rilevati i primi segnali di crisi dell’impresa, tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nella crisi si attivano nel modo corretto, con ogni probabilità lo stato di crisi non degenererà in insolvenza e, anzi, l’impresa potrà tornare sana in tempi ragionevoli.

Codice della crisi di impresaLa situazione attuale

Il mutevole andamento dell’economia internazionale (si pensi all’ultimo decennio di pesante recessione) e l’aumento e la diversificazione dei fattori di rischio della crisi, anch’essi evidente portato dell’economia del nuovo millennio, hanno indotto non soltanto il legislatore italiano ma anche gli ordinamenti degli stati ad economia più evoluta, a rivedere il ruolo e la figura del debitore. 

  • Agli inizi del secolo scorso: la sottoposizione a procedura fallimentare, aggravata dalle misure accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici che corredavano la sentenza di chiusura del fallimento, aveva come conseguenza la connotazione negativa dell’imprenditore, che veniva “giudicato” incapace di gestire la propria attività, ma anche la propria vita (si pensi al significato dell’aggettivo “fallito” nella nostra lingua, evidente trasposizione figurata della nozione legale).
  • Attualmente, in sintonia con il descritto cambio di prospettiva, i termini “fallimento” e “fallito” sono stati banditi dal sistema normativo, evidentemente per eliminare la negatività che inevitabilmente tali termini evocano.

L’evidente dilagare dei fenomeni caratteristici della crisi (si pensi che nel 2022 le persone in condizione di difficoltà economico-finanziaria tali da integrare gli estremi del fenomeno del sovraindebitamento erano circa 20 milioni, quasi un terzo della intera popolazione) e la forte incidenza delle turbolenze ambientali (conflitti e pandemia e le sue perduranti conseguenze economiche) hanno indotto il legislatore italiano a intervenire ripetutamente sulla normativa di settore, prima con la generale riforma introdotta dalla Legge delega del gennaio 2019, e successivamente con affannati interventi correttivi, dettati anche dall’emergenza pandemica.

Il risultato è un apparato normativo complesso, con diverse anime non sempre in armonia perfetta tra loro, ma con l’obiettivo comune di consentire a chi versa nelle condizioni di criticità di essere “aiutato” dal sistema ad uscirne nel migliore dei modi, e, in ogni caso, con la possibilità, riconosciuta a tutti, di ricorrere all’istituto dell’esdebitazione per mantenere sempre quella dignità che la previgente normativa escludeva proprio con finalità afflittiva.

Oggigiorno chi si trova in difficoltà perchè le sue entrate non gli consentono di prestare fede alle obbligazioni già assunte non deve vergognarsene, anche perchè molto spesso fattori esterni non prevedibili nè governabili hanno giocato un ruolo fondamentale nel condurlo alla situazione attuale, ma non può’ fare tutto da solo:

rivolgendosi a un professionista specializzato che individui lo strumento più idoneo a gestire la sua situazione può, anche in tempi ragionevolmente brevi, risolvere la criticità e recuperare la serenità, mantenendo una esistenza dignitosa e rispettata.

Codice della crisi di impresa

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