di Marzia Marconcini
Le procedure di sovraindebitamento previste dal Codice della crisi d’impresa si distinguono anche in base a seconda di soggetti che possono fruirne. Difatti, se la liquidazione controllata dei beni è accessibile a tutti i debitori in stato di sovraindebitamento, possono presentare la proposta di concordato minore soltanto l’imprenditore minore, l’imprenditore agricolo, il professionista e le start-up innovative, mentre la ristrutturazione dei debiti è riservata ai consumatori.
Concentrando l’attenzione sulla ristrutturazione dei debiti del consumatore, diviene centrale chiarire cosa si intende per consumatore. Al riguardo, viene in soccorso l’art. 2 del Codice della crisi, deputato a fornire le definizioni dei concetti e degli strumenti chiave del Codice.
All’art. 2, comma 1, lett. e) c.c.i. si definisce “consumatore” la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti a uno dei tipi regolati nei capi III [società in nome collettivo], IV [società in accomandita semplice] e VI [società in accomandita per azioni] del titolo V del libro quinto del codice civile, per debiti estranei a quelli sociali.
La riportata definizione è confermata in un certo senso anche dalla disposizione di cui all’art. 74 c.c.i., laddove si precisa espressamente che l’accesso al concordato minore è concesso a tutti i debitori in stato di sovraindebitamento, escluso il consumatore.
Il primo dubbio interpretativo che sorge è: se il debitore ha alcuni debiti nascenti dall’attività imprenditoriale/professionale svolta e altri di natura consumeristica, può accedere alla procedura della ristrutturazione dei debiti, e se sì, solo limitatamente a questi ultimi, o deve necessariamente riportare tutti i suoi debiti, indipendentemente dalla loro natura, all’interno della proposta di concordato minore?
La risposta preferibile parrebbe essere la seconda opzione: il piano del consumatore dovrebbe essere riservato ai soli soggetti che non esercitano attività economica/professionale/imprenditoriale. L’unica eccezione in tal senso è stabilita alla stessa lett. e) del comma 1 dell’art. 2 ed è costituita dalle ipotesi in cui il consumatore sia socio di una S.n.c., una S.a.s. o una S.a.p.a..
Al proposito urge affrontare subito un’ulteriore questione: nonostante gli elementi in comune con i tre indicati tipi societari, nell’elenco non è compresa la società semplice. Ebbene, per la molteplicità degli elementi in comune tra i quattro modelli societari, si deve ritenere che il mancato inserimento della S.s. nell’elenco della lett. e) in esame sia dovuto a semplice dimenticanza e non a una volontaria espunzione.
Vi è, poi, un altro aspetto da chiarire: se il consumatore, che sia anche socio di una delle quattro forme societarie elencate, decide di proporre un piano di ristrutturazione dei debiti, stando alla lettera dell’art. 67, comma 2, deve allegare, tra l’altro, l’elenco di tutti i creditori. Ci si chiede, visto la laconicità della disposizione, se in tale elenco siano compresi i creditori sociali.
La soluzione preferibile è nel senso di estendere l’elenco dei creditori fino a ricomprendervi i creditori sociali, anche se limitatamente alle ipotesi codificate in cui il debitore sia socio illimitatamente responsabile di uno dei quattro tipi societari sopraelencati.
In altre parole, qualora il socio decida di presentare un piano di ristrutturazione dei debiti, per evitare disparità di trattamento tra i suoi creditori personali e i creditori della società di cui è socio illimitatamente responsabile, deve inserire nell’elenco di cui all’art. 67, comma 1, lett. a) anche questi ultimi.
Se ciò è vero per il caso particolare di cui all’art. 74, comma 1, ci si deve chiedere se sia vero anche il contrario: se, cioè, nel caso di debiti promiscui, parte consumeristici e parte derivanti da attività d’impresa, diversa da quella esercitata dal socio illimitatamente responsabile, il debitore sia impossibilitato a presentare il piano di ristrutturazione e sia, perciò, costretto a proporre il concordato minore.
L’interpretazione preferibile è la affermativa: del resto, già nella vigenza della Legge fallimentare, l’imprenditore sopra soglia poteva fallire anche per debiti non commerciali. Analogamente, nella vigenza del nuovo codice della crisi, l’imprenditore sopra soglia che si trovi in stato di crisi non può presentare un piano di ristrutturazione ma deve presentare una proposta di concordato preventivo.
Già da queste poche considerazioni si vede quanto sia complessa e talvolta di non facile interpretazione la formulazione del Codice, e i dubbi interpretativi non sono certamente finiti, di fronte ad una normativa così articolata e composita, infarcita di rinvii su rinvii: a questo punto, a meno di un nuovo ed ulteriore intervento chiarificatore del legislatore, la loro soluzione è rimessa, da ultimo, al vaglio giurisprudenziale.